L’attenzione sempre più ricorrente per l’opera di Max Klinger, oggetto di un susseguirsi di esposizioni, studi e approfondimenti anche nel nostro paese, pone ormai le basi per esplorare quel ricco ambito di influenze che l’artista tedesco fu in grado di suscitare ed alimentare soprattutto nella grafica, tra i vari artisti ed amici, sodali e seguaci che trassero ispirazione e incitamento dalla sua arte e dai suoi enunciati teorici intorno alla Griffelkunst (Arte dello stilo). Un ambito che risulta ancora poco esplorato sia in Germania che in Italia, se non in modo frammentario, e che ci offre la possibilità di far riemergere dalla galassia sterminata degli incisori tedeschi di fine Ottocento e dei primi decenni del Novecento personalità spesso poco note al grosso pubblico o addirittura talvolta dimenticate, ma di indiscusso valore come Karl Stauffer-Bern, Otto Greiner, Sigmund Lipinsky, Sascha Schneider, Max Roeder, Bruno Héroux, Marcus Behmer, Joseph Uhl, Ernst Moritz Geyger, Fritz Boehle, Paul Herrrmann, Richard Müller, Willi Geiger, gli austriaci Rudolf Jettmar e Alois Kolb, gli svizzeri Albert Welti e Fritz Pauli o la svedese Tyra Kleen, insieme ad altri certamente più conosciuti come Franz von Stuck o Käthe Kollwitz, più famosa come antesignana dell’Espressionismo che come seguace di Klinger.
Su vari di essi è calato per lungo tempo il sipario della storia, ostracizzati per il loro presunto “accademismo” e il loro essere considerati superati rispetto alla modernità delle successive avanguardie. Non ultima, ha pesato anche l’ombra del passato e della colpa, soprattutto per chi, come Fidus, Paul Herrmann o Ivo Saliger, è stato compromesso più avanti negli anni con le ideologie del Terzo Reich.
Per Greiner, tra tutti il più vicino a Klinger, ha certamente influito un destino sfortunato, in quanto fu a lungo osteggiato da una critica che lo accusava di essere troppo simile al maestro, poi al momento dei riconoscimenti colpito dalla morte prematura a Monaco nel 1917 dopo aver dovuto dolorosamente abbandonare l’amata Roma, dove si era trovato improvvisamente nemico in terra ostile al momento in cui l’Italia entrò in guerra contro la Germania. Infine il dipinto più importante della sua vita, Ulisse e le sirene, che campeggiava nel museo di Lipsia accanto a Cristo all’Olimpo e a L’ora blu di Klinger, malinteso come opera di regime filo-nazi, fu distrutto alla fine della seconda guerra mondiale dalle truppe di occupazione russe, pare tagliato dalla cornice per avvolgere un pianoforte trafugato.
Gli ultimi Deutsch-Römers Klinger, Greiner, Lipinsky, ed altri tra questi artisti sopra nominati soggiornarono o addirittura vissero nel nostro paese scegliendolo come seconda patria, ultime maglie di una lunga catena di nordici che, a partire da Goethe, avevano cercato nel mondo mediterraneo gli ultimi riverberi di un‘arcadia ideale.
Il trattato di Klinger Malerei und Zeichnung (Pittura e disegno) pubblicato a Lipsia nel 1891 fu il punto di partenza per tutti coloro che ricorsero alla grafica per esprimere il proprio mondo immaginario e interiore, popolato di fantasmi, angosce e tormenti, ma al contempo proteso ai vagheggiamenti ideali di bellezza, musica, armonia e sensualità panica.
Per la maggior parte di questi artisti l’incisione non fu un’occupazione secondaria relegata ad un ruolo marginale e occasionale, al contrario fu il mezzo prediletto con un accanimento e una disciplina inconsueta che spesso, si veda in particolare il caso di Greiner e Lipinsky, prevedeva accurati disegni preparatori, spesso anche di grandi dimensioni di figure intere o di dettagli che poi dovevano ricomporsi nel formato più piccolo della definitiva lastra di metallo o di pietra, finanche nel minuto spazio degli ex libris dei quali gli artisti mitteleuropei produssero nei primi decenni del Novecento una stupefacente quantità, documentata dalle raccolte curate da Richard Braungart, collezionista, esegeta e cultore di questo particolare genere espressivo.
Nella produzione moderna, dove il nudo svolgeva un ruolo di centralità secondo quanto già teorizzato da Klinger che lo definì senza imbarazzo «alfa ed omega di ogni stile», le allegorie, le cariatidi maschili e femminili, i putti e i geni alati perdevano la convenzionale funzione decorativa per acquistare concrete fattezze umane di esseri vivi e reali di cui pareva persino avvertire il flusso del sangue. Da questo nuovo approccio nasceva un’arte nuova, libera e spontanea, in quanto ogni artista poteva esprimere la propria creatività in modo originale e naturale allo stesso tempo.
Regola fondamentale dei nuovi e variegati tentativi di stile era infatti la natura che Braungart sottolineava essere non solo nell’origine intrinseca della nudità umana ma principio base della stessa coscienza dell’artista. Le sue antologie, tra le quali spicca Der Akt im modernen Exlibris (1922) non contemplavano gli espressionisti in quanto ritenuti colpevoli di essersi allontanati consapevolmente dalla natura, mentre chi voleva lavorare con la forma e con le idee non poteva prescindere dall’elemento naturale.
Non era questa ovviamente una difesa del naturalismo tout court dal momento che ormai i dibattiti intorno alle arti avevano denunciato i limiti e le impurità del realismo e del verismo aneddotico e cronachistico. Il Simbolismo e lo Jugendstil avevano ormai diffuso nuove tematiche ed idee imponendo un rinnovamento improrogabile di cui le Avanguardie del Novecento ponevano di nuovo in discussione i principi.
Soprattutto alla fine dell’Ottocento l’arte grafica di Max Klinger aveva posto le basi per un ricco dispiegarsi di espressioni che scardinavano le convenzioni accademiche e storicistiche. Le sue divinità maschili e femminili nude erano secondo Braungart apparizioni nobili ed insolite, legittimate da quello che dovevano rappresentare, ossia delle maestose personificazioni dell’essenza divina. I nudi di Klinger non erano corpi di modelli contemporanei qualsiasi, di gente abituata a posare senza vestiti. Anche il loro erotismo era così composto e distaccato da indurre a venerazione e rispetto. Nonostante fosse stato definito il «terrore dei circoli moralistici» – al tempo in cui fu varata in Germania la Lex Heinze che condannava le rappresentazioni erotiche – e malgrado l’influenza di Félicien Rops con più di una tentazione verso l’arte erotica addirittura pornografica in disegni destinati ad una circolazione semi-clandestina, le sue figure nude, specialmente quelle della pittura monumentale, propongono in genere tableaux vivants dei una gestualità rattenuta, severa e castigata.
Una linea di pensiero lo accomunava ad altri esponenti del Simbolismo mitteleuropeo come Arnold Böcklin, Hans von Marées, Ludwig von Hofmann, Hans Thoma e Sascha Schneider, tutti legati in vario modo all’elegia arcadica e all’estetica dell’Einfühlung elaborata da Visscher e Lipps, ossia quell’empatia simbolica dell’arte con le forme e sensazioni organiche in cui oggettivare il proprio senso vitale, divenendo spesso sentimento nostalgico per l’Eden perduto, simbiosi panica tra l’uomo e la natura, ardente e allo stesso tempo contemplativa.
Questa autorevolezza klingeriana la si trova in molti degli incisori che prenderemo in esame, ma il suo esempio illuminante apriva anche la strada a declinazioni originali e trasgressive che spesso sottintendevano vicende umane vissute fuori dagli schemi consueti della moralità borghese.
Già a partire dalla fine dell’Ottocento iniziarono ad esempio le prime manifestazioni spontanee di un modo anticonformista e comunitario di vivere, lontano dai condizionamenti urbani della società industrializzata ed immerso in una paradisiaca astoricità, dove si praticavano la medicina alternativa, l’alimentazione vegetariana, la cultura fisica ed il naturismo. Uno tra i luoghi più noti fu la frequentatissima colonia di Monte Verità ad Ascona sul Lago Maggiore, meta di ritrovo di artisti e scrittori dediti alla rivolta intellettuale e alla riforma della vita.
L’antesignano di questo tipo di scelte esistenziali fu Karl Wilhelm Diefenbach, un personaggio eccentrico, un po’ santone, teosofo e apostolo della natura, che portava avanti la sua missione solitaria predicando il culto del sole e bagnandosi nudo con figli e discepoli nella cava di pietra di Höllriegelskreuth nella valle dell’Isar vicino a Monaco, dove si era esiliato per l’ostilità che si era creata intorno a lui e alle sue utopie stravaganti. Si traferì poi a Capri, città meta di un turismo aperto e cosmopolita, dove tutt’ora esiste un museo a lui consacrato.
Heinrich Vogeler invece conduceva la sua vita alternativa nella colonia artistica di Worpswede, abitando una casetta fattoria con giardino chiamata Barkenhoff e decorata secondo i principi dell’Art Nouveau, vestendo abiti stile Biedermeier, scrivendo poesie e disegnando abiti fluenti per la sua fidanzata in un’atmosfera idilliaca e irreale. La casa divenne meta di artisti come Otto Modersohn, Fritz Mackensen, Paula Becker e lo scrittore Rainer Maria Rilke. Un famoso dipinto del 1905, Das Konzert, ritrae la compagnia di affinità ideali quasi al completo sulla veranda di casa. Le incisioni di Vogeler relative a questi anni risentono molto dell’impronta preraffaellita e raffigurano prevalentemente temi incantati e fiabeschi. Trasmettono fedelmente il poetico isolamento di questa fase della vita dell’artista che in seguito abbraccerà la fede comunista e attraverserà vicende molto più burrascose.
Il disegno e l’incisione stavano per Klinger in rapporto più libero col mondo rappresentabile, lasciando alla fantasia un margine più ampio per integrare l’assenza mimetica del colore, in modo che l’idea e la concezione poetica prevalessero sulla visione oggettiva e materialistica. «E’ possibile – scriveva – condensare le invenzioni più potenti nello spazio più ristretto, presentare nell’avvicendamento più rapido le invenzioni più contrastanti».
Per Klinger la caratteristica più rilevante dell’opera grafica era quella di poter esprimere la forte soggettività dell’artista. I modelli chiamati in causa erano Dürer, Schongauer, Rembrandt, Goya e Menzel, dei maestri che nel corso del tempo avevano tenuto alta l’autonomia espressiva dell’incisione e il suo valore artistico indipendente.
Dürer e Schongauer stanno all’origine di quella minuziosa probità di segno “antico”, analitico e preciso che Klinger adottò quasi sempre nelle sue opere, almeno fino a Das Zelt (La tenda, 1915) quando il suo linguaggio si modifica audacemente per stare al passo con le tendenze più moderne, da taluni definito un declino creativo e formale, per altri uno sforzo ricco di spunti precorritori. Da Rembrandt trasse l’interpretazione simbolica della luce, con quegli effetti di chiaroscuro grafico che rimangono preclusi alla pittura. Goya che «fissa l’uomo come si fissa una farfalla con uno spillo» cogliendolo per lo più nei suoi momenti di follia o di malvagità di fronte a spazi volutamente vuoti, spogli e uniformi, lo ispirò nei cicli grafici più drammatici e pessimisti. Menzel rappresentava quel retroterra modernamente realistico, quasi cronachistico e nello stesso tempo così vivacemente inventivo che permetteva anche quei giochi stranianti tra realtà e fantasia che furono peculiari anche per Otto Greiner.
Intenso fu il rapporto in Italia tra Klinger e Karl Stauffer-Bern, già compagni di studio a Monaco. Stauffer-Bern si applicò intensamente all’incisione sperimentando i vari procedimenti calcografici in particolar modo della puntasecca e del bulino, sui quali scrisse anche un trattato. Ebbe un rapporto clandestino con la milionaria Lydia Escher-Welti, moglie di un esponente dell’alta società zurighese, che era venuta a Firenze col marito per patrocinare la sua idea di una casa per artisti che naufragò quando emerse la relazione. Insieme a Lydia fece allora una impossibile fuga d’amore. Arrestato, finì al carcere delle Murate e successivamente al manicomio di San Bonifazio. Rotti i rapporti con l’amico Max per le vicende accadute, fu aiutato da Adolf von Hildebrand, ma dopo la notizia del rinvio di un concorso per un monumento da erigersi a Berna nel quale riponeva tutte le sue future speranze, cadde di nuovo preda della depressione e dopo aver tentato di spararsi morì, pare per una overdose di cloralio, nel 1891.
Un altro amico di Klinger, Ernst Moritz Geyger, raggiunse Firenze pure lui con l’idea di fondarvi una casa Atelier per artisti tedeschi, ma anche in quel caso il proposito naufragò finendo in una disputa legale tra i due artisti che ruppero i loro rapporti.
A prescindere dalle vicende private e dalle amicizie trasformate in inimicizie, Klinger, Stauffer Bern e Geyger furono considerati dalla storiografia dell’epoca, Hans Wolfgang Singer in testa, la triade dei capofila della moderna grafica tedesca che innalzava l’arte calcografica verso nuovi e originali orizzonti, liberandola dalle limitatezze tematiche e corporative nelle quali aveva finito di trovarsi per più di cento anni. Questo ruolo di rifondatori dell’incisione era stato affermato da Wilhelm Bode in un articolo a loro dedicato dal titolo Berliner Malerradider, scritto a Firenze nella primavera del 1889 e pubblicato in “Die Graphischen Künste” (Heft 3, 1890).
Fu finalmente Max Klinger a coronare il sogno della casa Atelier a Firenze. Insieme all’amico libraio editore Georg Hirzel, riuscì a ottenere per i suoi scopi la presidenza del Deutscher Künstlerbund, un’associazione autonoma di artisti tedeschi, fondata nel 1903 a Weimar in opposizione alla politica guglielmina. Due anni più tardi Klinger acquistava Villa Romana, situata alla periferia sud della città, lungo la via Senese. In quella sede, che ha custodito per oltre un secolo il dipinto Il bacio della sirena (1895), ospitò artisti e soggiornò a lungo con la compagna e musa ispiratrice Elsa Asenijeff. A suggello dell’intenso rapporto tra lui e la sua donna Klinger eseguì l’ex libris Elsa Asenijeff accompagnato dal motto Beltà vince (1899) e l’album Epithalamia (Cantiche Nuziali, Berlin 1907) nel quale affiancò il testo di lei con splendide illustrazioni e cornici ornamentali in un avvicendarsi di favole mitologiche sensuali e insieme drammatiche, tiasi marini e visioni epiche, rendendo manifesta la sua idealizzazione dell’unità delle arti con la citazione della scultura, della pittura e della decorazione, riunificate dal principio fantastico della grafica.
Alexander (Sascha) Schneider, originario di San Pietroburgo, frequentò lo studio di Klinger a Lipsia a partire dal 1895 e lì strinse amicizia anche con Otto Greiner, Richard Müller, Hans Unger e Oskar Swintscher. La sua arte si volse subito verso una linea simbolista visionaria a tinte forti dove le forze del Bene e del Male si fronteggiavano in una tenzone dai caratteri cosmogonici.
La formazione del giovane Schneider si orientò, oltre che alla solennità drammatica di Klinger, alla sensualità moderna di Feuerbach e von Stuck, ai bulini di Dürer, al segno finissimo dei Nazareni, mentre la sua fantasia si esercitava contaminando con spregiudicatezza i soggetti classici con quelli desunti dalla storia sacra e dalle saghe nordiche. La solida formazione accademica lo rese un convinto esegeta del nudo maschile che raffigurò con conturbante audacia, al punto di vedere più volte ostacolata la propria carriera artistica perché circonfusa di un alone di aperta omofilia.
Schneider, già professore a Dresda su raccomandazione di Klinger e poi a Weimar, si rifugiò a Firenze nel 1908 per sfuggire al ricatto di un giovane pittore con cui conviveva, il quale minacciava di denunciarlo alle autorità tedesche per il reato di omosessualità punibile dall’articolo 175 del codice penale. A Firenze, dove rimase in esilio forzato per tre anni, scrisse Mein Gestalten und Bilden dove esplicava il suo concetto ideale di corpo umano, non solo espressione spirituale e ideale ma anche essenza concreta, fusione perfetta di virilità, desiderio, bellezza e forma fisica.
L’artista non eseguì molte incisioni ma i suoi cartoni simbolisti dei primi anni Novanta furono riprodotti in xilografia nella collana “Meisterwerke der Holzschneidekunst” da J. J. Weber che riprodusse anche opere di Böcklin. Una curiosa acquaforte con schizzi di teste fu eseguita a tre mani da Schneider, Klinger e Greiner a suggello della loro amicizia.
Disegni di Schneider comparivano ogni tanto in “Jugend”, il settimanale monacense dell’arte “giovane” della cui redazione facevano parte il critico Fritz von Ostini e lo scrittore Franz Langheinrich. La rivista portavoce della Secessione dal cui titolo derivò il termine Jugendstil, conteneva recensioni, testi critici, poetici e letterari, ma in particolare decorazioni ornamentali, illustrazioni, caricature e splendide copertine a colori. Frequentemente vi furono riprodotte opere di Klinger, Erler, Eckmann, Diez, von Hofmann, Pankok, Puz, Bernuth, Geiner, Thoma, von Stuck, Fidus e Böcklin, artista “mito” più volte omaggiato e rievocato, in particolare nel 1897 per le celebrazioni del 70° compleanno e nel 1901 in occasione della morte avvenuta nella casa di Fiesole. Klinger fu il principale trait-d’union tra la generazione di Böcklin e quella più giovane che ruotava intorno a von Stuck e all’Accademia di Monaco.
Böcklin partecipò anche alla riunione di fondazione della rivista berlinese “Pan” la cui copertina fu invece ideata da von Stuck. Fondata da Julius Meier-Graefe e da Otto Julius Bierbaum, durò dal 1895 al 1900 ed ebbe vita più breve di “Jugend”, ma vantò il pregio di contenere allegate opere grafiche originali e di offrire una panoramica di artisti di fama internazionale, come Zorn, Vallotton, Toulose-Lautrec, Signac e Rodin.
Rispetto a “Pan”, più aperta alla diffusione dell’arte europea, “Jugend” amava distinguere la propria cerchia di affiliati riuniti sotto il nume carismatico di Böcklin e le proprie radici culturali goethiane e nietzschiane rispetto al mare magnum delle correnti di fine secolo, ironizzando ad esempio sulle mode impressioniste, pointillistes e simboliste contrapponendo la sincerità della matrice autoctona e della relativa Darstellung des ganzen menschlischen Lebens (descrizione dell’intera vita umana).
Esaltando la sbrigliatezza della sanità corporea e dell’euforia dionisiaca, si ironizzava sugli snobismi e sulle nevrastenie dei decadenti e dei nichilisti bohémien estenuati dalle droghe, dall’assenzio e dal peso di una civiltà agonizzate. Il culto del riso che traspare da molte illustrazioni di “Jugend” non era tanto la satira politica e sociale alla “Simplicissimus”, quanto una predisposizione filosofica dell’animo, un gioioso slancio liberatorio della consapevolezza tragica, seguendo il suggerimento di Nietzsche che in apertura alla terza parte di Così parlò Zarathustra scriveva: «Chi è capace di ridere e insieme essere elevato? Chi sale sulle vette dei monti più alti ride di tutte le tragedie, finte e vere».
“Jugend”, oltre a diffondere le stilizzazioni moderniste che si troveranno applicate nell’arte decorativa, fu anche la prima rivista a diffondere idee che verranno di lì a poco propagandate da periodici legati al movimento della Lebensreform (come “Die Schönheit”)ossia quella controversa riforma della vita in chiave prettamente germanica che si inserirà con motivazioni morali, estetiche, politiche e finanche nazionaliste e razziste, tra le utopie socio-culturali dei primi decenni del XX secolo.
Le pagine di “Jugend” riprodussero spesso opere grafiche di Fidus (pseudonimo di Hugo Höppener), l’allievo prediletto di Diefenbach e suo aiuto al fregio monumentale di 48 metri a silhouettes nere Per Aspera ad Astra che il maestro portò nella casa di Capri, un corteo di fanciulli danzanti e animali guidati dall’artista profeta che si dipartiva dalla Sfinge, definita da Diefenbach simbolo dell’irresolubile e inconciliabile contrasto tra la natura animale e spirituale dell’uomo, dirigendo il suo cammino verso un uccello migratore in volo (Wandervögel). Le eleganti figurine nere di Fidus divennero una sigla inconfondibile dello Jugendstil e vennero più volte riprodotte a stampa (un’edizione fu stampata a Capri nel 1900).
Il contatto con la teosofia arricchì le opere di Fidus di un formulario caratterizzato da simboli ermetici ed orientalizzanti come il fiore di loto, la sfinge e la svastica. La sua opera più famosa, Lichtgebet (La preghiera della luce, prima versione 1894), è una figura di un giovane uomo dai capelli biondi visto di spalle, in piedi su una roccia e con le braccia aperte ed elevate verso il sole, che divenne una sacra icona, amata tanto dai giovani Wandervögel quanto dai futuri esponenti del nazionalsocialismo. Fidus può essere considerato l’artista più vicino in assoluto alle istanze della Lebensreform ed ai movimenti alternativi giovanili, tuttavia il suo progressivo insistere sulle radici ariane del germanesimo finì per colorare nel tempo la sua arte di toni sinistri e intenzionalità razziste.
Anche opere di Hans Thoma furono riprodotte su “Jugend”. Una in particolare ricorda Lichtgebet di Fidus, una runa vivente che dominava i templi fantastici immaginati dall’artista e che fu spesso imitata, in particolare da Ludwig Karl Fahrenkrog, autore nel 1918 del dipinto Die Heilige Stunde (L’ora sacra). L’opera di Thoma, intitolata Der Jüngling und die Märchenvögel, è del 1900 e raffigura un giovane nudo con le braccia protese verso un gruppo di uccelli migratori in volo. Il dipinto è noto anche con l’altrettanto suggestivo titolo di Sehnsucht, un termineche più o meno significa struggente desiderio nostalgico, un sentimento fortemente radicato nella filosofia di Schopenhauer e nel suo senso di sofferenza cosmica per il quale gli unici rimedi erano l’ascesi, la morale e l’arte vissuta come virtù e contemplazione.
L’opera di Thoma si colloca nel solco del böcklinismo più austero, dei Primitivi e dei Nazareni affrontando soggetti desunti ora dalla mitologia classica, ora dalle sacre scritture, ora dalle saghe nordiche, come era solito fare anche Schneider. Nonostante avesse studiato a Parigi, assimilò quel che gli serviva dall’arte francese, ammirato soprattutto dalla pittura di Courbet, ma mantenne salde le sue radici popolari germaniche e l’affezione ai paesaggi della foresta nera. Nel 1874 e nel 1880 viaggiò in Italia, visitando Firenze, Roma e Napoli. Incontrò Adolf von Hildebrand e ammirò gli affreschi di Hans von Marées nella Stazione Geologica di Napoli, un’opera che ebbe forte influenza anche su Otto Greiner, soprattutto per il suo Ulisse e le sirene.
A Monaco entrò in contatto con la cerchia di “Jugend” e conobbe Arnold Böcklin che influenzò lo sviluppo della sua arte verso i temi panici e arcadici. Thoma fu anche autore di incisioni che spesso replicavano suoi dipinti, nelle quali mise in atto tecniche sperimentali come l’algrafia e la tacografia. Vicino alla sua maniera è Fritz Boehle, un incisore di severa e a tratti cruda ispirazione düreriana che si rifaceva alla tradizione folklorica teutonica nell’alvèo delle istanze del movimento volkisch. Fu autore di imponenti fogli ad acquaforte come Singender Ritter (Il cavaliere cantante) e Der verlorene Sohn (Il figliol prodigo) che si distinguono in una produzione dedita generalmente a temi rurali.

Anche lo svizzero Albert Welti subì profondamente il fascino di Böcklin, del quale fu allievo per due anni a Zurigo, interpretandolo in modo molto personale, con una inclinazione spiccata al fantastico. Come scriveva Joseph August Beringer in un articolo a lui dedicato in “Die Kunst für Alle” (Heft 6, 15 dicembre 1909), Welti sapeva unire fantasia, naturalezza, passione ed humour, traendo linfa dai racconti popolari e dalle leggende, ma anche dagli antichi maestri tedeschi come Dürer, Graf, Schongauer e Grümewald.
Una sua opera particolarmente significativa,Walpurgisnacht, eseguita sia in pittura che ad acquaforte, era ispirata alla notte di Valpurga del Faust di Goethe (che nel 1788 scrisse nei giardini di villa Borghese a Roma la scena della cucina della strega), un tema che ossessionava anche Greiner che incise una litografia analoga e ne La scuola delle streghe trasformò lo spunto letterario in una scatenata scena di bordello.
Altre acqueforti di Welti si rifacevano ai racconti demoniaci e spiritati di Gottfried Keller. L’artista svizzero aveva studiato incisione con Peter Halm e la sua opera grafica fu lodata dall’amico Hermann Hesse che scrisse di lui: «Dal momento ho visto Mondnacht, Welti è stato tra gli artisti con cui ho vissuto […] il cui stile è stato un metro con il quale io stesso ed altri ci siamo misurati […] Le due fonti della sua maestria erano una forte fantasia bizzarra, nutrita dalla profondità dell’anima e un senso di forma da antico maestro». Il titolo di un romanzo incompiuto di Hesse, Haus der Traüme, ricavava il titolo da una omonima litografia di Welti sul tema delle tre età dell’uomo dalla quale era rimasto fortemente affascinato. Quando l’artista morì improvvisamente nel 1912, lo scrittore si trasferì con la famiglia nella sua casa di Berna e nel 1917 pubblicò una monografia a lui dedicata di cui stilò la partecipe prefazione.
Nel 1909-1910 nell’atelier di Welti aveva studiato Fritz Pauli, influenzato fortemente nelle acqueforti di quegli anni dallo stile bizzarro e stregato del maestro, il quale con ammirazione reciproca acquistò la sua Susanna alla mostra natalizia del Kunstverein di Berna.
Franz von Stuck fu il principale seguace di Böcklin soprattutto per quanto concerne l’aspetto mitologico legato alle creature metà umane e metà ferine, di cui l’artista di Monaco sottolineò ancor più l’elemento aggressivo e sensuale. Più che agli idilli di un’Arcadia consolatoria, quello che più lo attraeva era l’istintualità sfrenata dei baccanali, degli inseguimenti e delle tenzoni.
Una sua acquaforte dal titolo Kampfende Faune, tratta da un dipinto del 1889, raffigura due faunetti iracondi che combattono a testate, mentre un suo celebre quadro del 1897, Bacchantenzug, raffigura un corteo misto di creature dionisiache che si infrattano in un boschetto, tradotto poi in incisione da William Unger con approvazione dell’autore. In esso, rispetto al contemporaneo soggetto eseguito in litografia da Otto Greiner, un trionfo vitalistico e scherzoso pubblicato in “Jugend” del luglio 1897, prevale piuttosto l’elemento demoniaco e l’attrazione per il lato oscuro e animale dell’essere.
L’eterna lotta tra i sessi e l’immagine della femmina funesta legata all’immaginario fine secolo della femme fatale è emblematicamente raffigurato da von Stuck in opere come Il bacio della Sfinge e Salome.Il connubio inscindibile tra male ed erotismo lo si ritrova inoltre in dipinti come Die Sünde (Il peccato, di cui esistono varie versioni), nel quale l’immagine satanica di Eva col serpente rievoca quella già raffigurata da Klinger in Die Schlange dal ciclo Eva e il futuro (1880), ed il sinistro e insieme ammaliante Lucifero. Di entrambi questi quadri l’artista eseguì una relativa incisione. In particolare l’acquaforte Die Sinnlichkeit risale al 1889 e anticipa le analoghe versioni dipinte del famoso Die Sünde.
Il sottofondo mitologico di ispirazione böckliniana e l’enfasi dionisiaca tipica di Von Stuck e della cerchia monacense di “Jugend” segnarono i primi lavori simbolisti di Otto Greiner che veniva da una formazione tradizionale e modesta di artigiano-litografo. Quando dalla nativa Lipsia approdò a studiare a Monaco alla scuola di Alexander Liezen-Mayer veniva istigato inutilmente dal maestro a trattare temi di vita moderna e rimproverato di disegnare ovunque fauni e centauri secondo la nuova tendenza secessionista.
L’incontro a Roma con Max Klinger fu poi per lui fondamentale, l’inizio di un sodalizio destinato a durare negli anni che lo portò ad elevare con rigore e potenza la sua vocazione all’arte simbolica e a stabilire definitivamente qualche anno dopo lo studio in quello lasciato dal maestro in via Claudia, dove lavorò en plein air ai nudi per Ulisse e sirene sulla vasta terrazza con vista sul Colosseo, quella stessa che ai giorni nostri è servita da set al film La grande bellezza di Paolo Sorrentino (2013).
Greiner divenne un Deutsch-Römer, osservato con curiosità e attenzione dalla giovane bohème artistica della capitale, da Duilio Cambellotti a Gino Severini e Umberto Boccioni, amato da una cerchia scelta di estimatori e al contempo criticato da altri per il suo atletismo anacronistico e soprattutto per aver imitato eccessivamente Klinger da divenirne una specie di copia; un giudizio agli occhi di oggi oltremodo superficiale, contraddetto da una produzione grafica (soprattutto litografie a penna, ma anche acqueforti e finissimi bulini) di alto livello che vanta capolavori di arte incisoria come Der Tanz (La danza 1896) e Gäa (Gea 1912), nonché disegni e studi preparatori di stupefacente bellezza talvolta superiori a quelli dello stesso Klinger.
Il suo unico ciclo, che si apre con una tavola dedicata proprio a Klinger raffigurante la creazione dell’uomo mentre nel cielo il concilio degli dei si prepara ad inviare sulla terra la prima donna Pandora, è Vom Weib (Della donna, 1898-1900), una serie di sei controverse litografie dedicate all’immagine misogina della donna quale strumento del diavolo e portatrice del male nel mondo.
Studiarono presso di lui a Roma lo scultore Georg Kolbe che apprese la tecnica della litografia e l’incisore Erich Wolfsfeld che ne assimilò il potente realismo evidente specialmente nei ritratti.
Nel 1909-1910 si fermò a Firenze a Villa Romana per un anno grazie a una borsa di studio Willi Geiger, un artista originale dalla marcata vocazione grottesca che, dopo essersi formato all’Accademia di Monaco con Von Stuck, aveva studiato in Spagna Goya, El Greco e Velasquez. Il suo primo ciclo di incisioni, Liebe (1903-1904) che gli valse il Graf-Schack-Preis, è un chiaro omaggio a Goya e a Klinger. Nel 1907 pubblicò privatamente una serie di dodici disegni erotici eseguiti a Roma nel 1905-1906, Das gemeinsame Ziel und anderes (L’obiettivo comune e diverso),che sollevò un certo scandalo per l’esplicita e brutale raffigurazione dei vari accoppiamenti sessuali. L’anno successivo fece uscire a proprie spese a Monaco presso lo stampatore Heinrich Wetteroth la cartella Stierkampf contenente incisioni di corride eseguite a Madrid e Siviglia tra il 1906 e il 1907, nelle quali è di nuovo evidente l’ispirazione goyesca.
Nel 1909 realizzò le dieci incisioni ad acquaforte e acquatinta del ciclo Die Verwandlungen der Venus (Le metamorfosi di Venere) uscite in cartella a Monaco con un testo di Richard Dehmel, in cui convergono suggestioni klingeriane ed umori espressionisti. L’archetipo femminile si colora di risvolti surreali e psicanalitici che culminano nell’immagine più forte del ciclo,Venus perversa,nella quale il braccio mozzato cherichiama la Venere di Milo diviene surreale mutilazione corporea, dagli inquietanti risvolti sadomasochistici. Nell’incisione Der begehrliche Blick (Lo sguardo bramoso), eseguita a Firenze nel 1910, rivisita invece il tema della dame au pantin derivato da Félicien Rops, trasformando gli uomini marionette in pendagli inermi che decorano il volto sogghignante di una virago mascherata.
Marcus Behmer è un altro artista che soggiornò a Firenze e che ritroviamo con Sascha Schneider tra i membri del “Club degli Alcionici” (tra di loro anche Gino Carlo Sensani, Filippo Marfori Savini, Carl Strauss, Italo Tavolato e Theodor Däubler, autore del poema cosmogonico Das Nordlicht stampato a Firenze nel 1910) che amava riunirsi nella Buca Lapi, nota e tutt’ora esistente trattoria fiorentina nel palazzo Antinori. La compagnia è nota attraverso un libretto di Fred Robert von Klement, Bei Lapi in Florenz, pubblicato nel 1911. Ardengo Soffici nei suoi ricordi artistici e letterari riferiva di un locale che denominava “Napi” – forse per un lapsus lo stesso luogo – una bettola sotterranea dove un circolo di uomini «seguaci di Oscar Wilde», che lasciavano lui e Papini «disorientati e pensosi» per le strane tendenze, ballavano tra di loro in mezzo ai tavoli. Il locale fu fonte di ispirazione per il famoso quadro Compenetrazione di piani plastici, ovvero La tarantella dei pederasti, esposto in via Cavour dal novembre 1913 al gennaio 1914 all’Esposizione Futurista di “Lacerba” patrocinata da Ferrante Gonnelli e successivamente distrutto dall’autore stesso, davanti al quale Dino Campana compose la poesia Fantasia su un quadro di Ardengo Soffici.
Un particolare del quadro riproduceva la copertina di Contro la morale sessuale di Italo Tavolato, edito nel 1913 da Gonnelli, il libroscandalo che faceva eco al Manifesto futurista della lussuria di Marinetti (Milano, 1913) e difendeva la libera sessualità dai falsi pregiudizi borghesi, anticipando teorie poi diffuse dal pensiero di Wilhelm Reich sulla società sessuofobica.
Marcus Behmer era già dal 1903 membro della prima organizzazione omosessuale del mondo a Berlino guidata da Magnus Hirschfeld e durante l’avvento del nazionalsocialismo fu imprigionato per due anni a causa del suo orientamento. Nel 1903 aveva acquistato notorietà realizzando le illustrazioni della Salomè di Wilde, affascinato dal libro d’arte di Charles Ricketts e direttamente influenzato dalla rivoluzione grafica di Aubrey Beardsley. Illustrazioni analoghe comparvero in “Ver Sacrum” di quell’anno. Tra le sue incisioni più significative del periodo è la litografia Die Geraubte Orchidee (L’orchidea rubata, 1903) nella quale un ragazzo cavalca col fiore in mano un curioso animale preistorico bipede con la testa allusivamente fallica.
Ben presto Behmer si svincolò dall’Art Nouveau di linea beardsleyana e, parallelamente all’emergere dell’ Espressionismo e ai nuovi impulsi dalla Wiener Werkstätte, sviluppò un proprio linguaggio formale inimitabile producendo scritti e immagini di straordinaria fantasia comica, spirito grottesco e franchezza sessuale. Sempre a Firenze nel 1908 curò un’edizione privata stampata da Luigi Tassini dove trasse acqueforti dai disegni di Elena von Wiskovatoff, ispirati a loro volta a quelli dei bambini, esaltanti l’ingenua ma immensa forza creativa dell’infanzia.
Bruno Hèroux, nativo di Lipsia e prolifico autore di ex libris e soggetti simbolici e fiabeschi con silfidi e animali, sembra palesemente omaggiare Klinger nel ciclo Vae solis, forse la sua opera tecnicamente e artisticamente più convincente e riuscita che trovò il parere favorevole di Richard Braungart in una recensione su “Die Kunst”. Come nei più celebri cicli klingeriani, Eva und die Zukunft ( Eva e il futuro, 1880), Ein Handschuh (Un guanto, 1881) o Eine Liebe (Un amore, 1887), il rapporto conflittuale tra i sessi – argomento oramai chiave della cultura tra i due secoli, da Strindberg a Wedekind – diviene una miscela pericolosa di attrazione e repulsione, in una sequenza di visioni primigenie intorno alle quali si scatenano forze maligne, oscure e minacciose. Così insidiata l’edenica armonia amorosa dei due archetipi maschile e femminile che si incontrano e conoscono diviene man mano lotta, conquista e dolore, fino alla conclusione ammonitrice di una trasfigurazione catartica in un bosco sacro di cipressi böckliniani (Verklärung), che fa meglio comprendere lo strano titolo della cartella: “Guai ai soli”.
Al nudo di dimensione monumentale e simbolista si dedicò anche il viennese Alois Kolb, al pari di Héroux prolifico esecutore di ex libris e con lui uno tra i più grandi enfatizzatori dell’Akt, ossia del nudo in movimento. Kolb vi rappresenta con predilezione giovani coppie in amore ed esalta le forze fresche e rigeneranti della giovinezza, alluse da fontane, fiori e alberi germoglianti oppure titaniche nudità tese a forgiare metalli su incudini. L’estasi naturista evoca il calore del mare Mediterraneo, ma anche le vertigini delle montagne e dei ghiacciai del nord, evidenziando la presenza contigua nello spirito tedesco di elementi classici e gotici, di istintualità dionisiaca e riflessione filosofica. Progressivamente le anatomie di Kolb si distaccano dai canoni classici e armonici per assumere connotati più stilizzati in senso Jugendstil, approdando in seguito a deformazioni e dissonanze in un personale mix tra Espressionismo e Déco,
Kolb illustrò l’epica omerica (Iliade 1908, Odissea 1920), in linea di pensiero con artisti che dovette particolarmente amare ed emulare come Otto Greiner e Sigmund Lipinsky. Da Greiner sembra particolarmente prendere spunto anche per la serie di disegni dal titolo Vom Weibe pubblicata nel 1903 in un numero di “Teuerdank, Fahrten und Träume Deutscher Maler”, raccolta a fascicoli dedicata all’arte in bianco e nero dei disegnatori tedeschi.Al contempo manifestò una teatralizzazione a tinte forti delle immagini enfatizzandole in senso drammatico e musicale, caratteristica che lo rende distante dalle misurate euritmie di Lipinsky. Tra i suoi lavori più riusciti si annoverano il ritratto di Beethoven concepito come un enorme ex libris allegorico e il portfolio di dieci acqueforti ugualmente dedicate al grande musicista (1921), nella cui tavola Mondscheinsonate (Sonata al chiaro di luna) appare evidente il richiamo alla Donna sul mare e all’Abbandonata di Klinger.

Joseph Uhl, nato in America da genitori tedeschi, allievo di Schmid Reuttle all’Accademia di Monaco, fu pittore ed incisore di grande perizia e finezza. Eseguì ritratti (di Martin Greis, di Willi Geiger, di se stesso e dei propri figli) e soggetti simbolisti alla maniera di Klinger, tra i quali si ricorda il ciclo di dodici tavole Ein Liebesmysterium (Un mistero d’amore, 1910) ispirato al klingeriano Eine Liebe. Un suo paesaggio idilliaco di suggestione böckliniana, dal titolo Sommerszeit,recava in calce dei versi di Gottfried Keller, il celebre poeta svizzero di lingua tedesca, amico di Böcklin e autore in anni giovanili di versi legati ad un forte e spiritualizzato senso della natura: «Trinkt oh Augen, was die Wimper hält von dem gold’nen Überfluss der Welt» (Bevete oh occhi ciò che le ciglia traggono dalla dorata sovrabbondanza del mondo).
In un’altra incisione di cui è noto il relativo dipinto, Wenn der Frühling auf die Berge steigt, Uhl offrì un’allegoria altrettanto poetica e dolce della primavera associata al motivo dell’infanzia nei suoi primi passi gioiosi nella salita della vita, con modalità espressive che ricordano piuttosto la maniera fiabesca di Vogeler.
Anche Ferdinand Staeger si muoveva nel mondo magico dell’infanzia illustrando libri per bambini e sviluppando una tecnica incisoria minuta devota a temi favolistico letterari o a descrivere l’anima del paesaggio naturale, in merito alla quale Herbert Wessely parlò di un «surrealismo staegeriano pieno di simbolismo mistico».
L’attività di Staeger, nato a Trebitsch in Moravia, si svolse prevalentemente a Monaco ma importante fu la sua permanenza a Praga quando giovanissimo, dopo aver studiato per un periodo sotto Jacob Schikaneder, frequentava pittori, scrittori e bohémiens come August Brömse, Richard Teschner, Paul Leppin e Gustav Meyrink. È importante questa origine dalla zona culturale boema -morava, da quell’humus intellettuale della Praga magica di inizio secolo, genius loci che emanava la sua forza concreta e percepibile per accedere a un mondo mistico del sogno, pieno di realtà impressionanti e profonde.
Max Roeder, nato a Monaco, ma attivo a Roma dal 1888, è l’unico tra gli artisti sopra ricordati a trascurare la figura umana, preferendo raffigurare la natura del paesaggio italico nella sua essenza primordiale oppure incantarsi malinconicamente di fronte a rovine allusive ad un passato lontano ed eroico, erme solitarie, ninfei abbandonati, giardini di ville rinascimentali immersi nel silenzio dei cipressi e dei pini.
La musica di Wagner, la filosofia di Schopenhauer e soprattutto la pittura di Böcklin furono per lui la fonte degli stimoli più potenti. L’incanto di Villa Borghese, dove Goethe concepì la scena delle streghe del Faust (una delle letture predilette di Otto Greiner), rievoca in Roeder il senso di luoghi e periodi remoti che la natura vince nel rinnovarsi perpetuo degli anni e delle stagioni. Roeder ha lasciato ai posteri un’autobiografia emblematicamente intitolata Jugendstürme, Lebensbilder eines Landschaftsmalers, una speciedidiario–epistolariosul modello del Viaggio in Italia di Goethe, in cui definiva il suo approdo al Sud «il viaggio santo».
Sigmund Lipinsky arrivò nel 1902 a Roma tra gli artisti stranieri di Villa Strohl-Fern, allontanandosi definitivamente dal soffocante clima accademico dell’eclettismo guglielmino. Iniziò ad incidere nel 1911 su incitamento degli amici Klinger, Greiner e Roeder in coincidenza e manifesta contraddizione con gli anni segnati dagli scardinamenti violenti operati dalle Avanguardie. Oltre al modello klingeriano la sua maniera si abbeverò alle fonti archeologiche, alle preziose incisioni di Dürer e Schongauer, ai nielli e ai bulini del Rinascimento. La sua prima acquaforte è Pandora, nella quale una giovane popolana è trasformata nella fanciulla creata da Efesto su ordine di Zeus per contenere in sé ogni genere di grazia e virtù. Avvolta da un velo leggero, la giovane incede sulla sabbia disseminata di gigli di San Pancrazio con in mano il vaso regalatole da Zeus contenente tutti i mali del mondo. Il dio le aveva intimato di non aprirlo mai, ma Pandora, spinta dalla curiosità, disubbidì facendo proliferare disordine e distruzione nel mondo. Una incisione a suo modo profetica che vaticinava i disastri che nel giro di pochi anni avrebbero sconvolto l’Europa.
Costretto a fuggire esule a Monaco come Otto Greiner, chiamò gli anni della guerra «il tempo dell’esilio lontano dal sole». All’amico Greiner, morto prematuramente nel 1916, dedicò l’incisione Inter arma silent Musae, allusiva al silenzio delle arti nel periodo bellico. Dopo il conflitto poté finalmente rivedere il lido tirrenico, scenario ideale dei miti classici, dove ambientò la sua serie dell’Odissea,nei cui dettagli si scopre la flora caprese,ed il piùbello dei suoi ex libris: Il sole di Omero (1924).
Affine alla meticolosità tecnica di Lipinsky è l’austriaco Alfred Cossmann, allievo di William Unger all’Accademia di Vienna, che eccelse nel campo exlibristico con minuziosecomposizioni allegoriche nelle quali creava accordi sofisticati, quasi algidi, tra figure, ornamenti e lettering.
La svedese Tyra Kleen fu un’eccentrica viaggiatrice dotata di un non indifferente talento fantastico. Dalle poche notizie biografiche che abbiamo su di lei, i suoi primi studi artistici avvennero in Germania, pare anche presso lo studio di Klinger. Eccelse nella litografia nella quale sperimentò le varie possibilità e sfumature, i mezzi toni, i neri profondi, le graffiature e gli effetti luministici.
Fu forse sull’esempio di Klinger che aveva illustrato la favola di Apuleio Amore e Psiche (1880) che l’artista svedese scrisse e illustrò la sua Psykesaga, pubblicata a Stoccolma nel 1902, nella quale la mitologia classica si fondeva alle saghe nordiche, la fantasia all’esoterismo. L’arte della Kleen si colorò di sfumature maudit grazie al soggiorno a Parigi dove si recò più volte, a partire dal 1897. Sue illustrazioni furono riprodotte ne “La Plume” una delle riviste più importanti del movimento simbolista. Disinteressata alle ricerche pittoriche dell’Impressionismo e del Post-impressionismo, preferì abbeverarsi alle fonti decadenti, a Poe (a cui si ispirò nella litografia Nevermore) e a Baudelaire di cui illustrò con opere grafiche Les Fleurs du mal (La chevelure). Fu tuttavia l’Italia ed il mito della sua affascinante capitale ad attrarla poi inesorabilmente.
Roma pullulava ai primi del secolo di pittori stranieri ed era definita uno dei più importanti foyers artistici del mondo. Nel 1901 la Kleen era già a lì, come dimostra la data posta in calce alla litografia La peur, una visione dissacrante e satirica dove uomini e donne nudi e striscianti nella basilica di San Pietro, si aggrappano disperatamente al simulacro del santo fustigati da un enorme diavolo alato. Una composizione dissacrante che si avvicina ad alcuni fogli del ciclo greineriano Vom Weib che contiene immagini impressionanti come Il diavolo mostra la donna al popolo e Il mortaio.
Luci e ombre, incubi notturni, stati d’animo contraddittori (nelle litografie L’horreur de vivre e La joie de vivre) costellano la vicenda artistica di una donna emancipata e libera (suo è il ritratto della scrittrice femminista Ellen Key) che optò per una vita solitaria e indipendente, per una diversità perseguita con orgoglio e fierezza.

Un’altra donna che scelse una vita controcorrente è la ben più nota Käthe Kollwitz che iniziò ad incidere sull’esempio di Max Klinger del quale assimilò gli aspetti più realistici e meno idealizzanti. A Berlino studiò alla scuola femminile sotto l’insegnamento di Stauffer-Bern e fu con lui che visitò in città una mostra nella quale Klinger esponeva il suo ottavo ciclo di incisioni, Ein Leben (Una vita, 1884), rimanendone folgorata e provando una “emozione straordinaria”. Del maestro di Lipsia ammirava le opere a sfondo sociale dove venivano denunciate la prostituzione e lo sfruttamento dei lavoratori (valga per tutti il ciclo Dramen, 1883).
La Kollwitz esordì con la serie Ein Weberaufstand(Una rivolta dei tessitori, 1893-1898) alla quale seguì la Bauern Krieg (Guerra contadina, 1902-1908) e la collaborazione con disegni satirici alla rivista “Simplicissimus”. Durante la prima guerra mondiale perse il figlio nelle Fiandre e non riuscì mai a superare il dolore di quella perdita, vivendo in prima persona il dramma della madre che vede la morte strapparle la propria creatura, come più volte aveva simbolicamente raffigurato nelle sue incisioni. Fu proprio la Kollwitz a pronunciare il discorso commemorativo durante le esequie di Max Klinger.
Il tema della morte nella sua dimensione simbolica e drammatica fu più volte affrontato dallo stesso Klinger in cicli come Eine Liebe (Un amore, 1887) e Vom Tode I e II (Della morte, prima e seconda parte, 1889 e 1898-1910). Celebre è la sua traduzione ad acquaforte di Die Toteninsel (L’isola dei morti, 1890) tratta dal dipinto di Böcklin, una sacra icona che riprodotta a stampa nelle varie tecniche figurava appesa nelle case borghesi di mezza Mitteleuropa tra Ottocento e Novecento.
Nella tavola conclusiva di Vom Tode I intitolata La morte come salvatrice Klinger incide l’epitaffio: «Noi rifuggiamo la forma della morte, non la morte, poiché essa è la meta dei nostri più alti desideri». Accanto alla dimensione ansiosa e vitalistica, nell’arte tedesca, abituata da secoli a dialogare con i teschi attraverso le macabre Totentänzen, ricorre il rispettosacro per la morte che fatalmente si ciba di ciò che nella vita è meraviglioso.
Anche il tema ricorrente delle Parche allude all’indissolubile destino di vita e morte e al predomino nell’esistenza umana dell’ irresistibile forza creativa e insieme distruttiva di Eros, come Klinger evidenzia nella tavola di dedica An Arnold Böcklin, “antiporta” al ciclo Eine Liebe, nella quale il giovane Amore scocca le sue frecce dalle nuvole in mezzo alle dee del destino.
La dimensione “oscura” di Klinger convive con quella più limpida e solare. Già nel celeberrimo ciclo di Un Guanto si alternano visioni tranquille ad altre assolutamente angoscianti, come sovente accade nei sogni. La “parafrasi” del guanto perduto da una avvenente signora su una pista di pattinaggio fu concepita in un momento in cui si stavano sviluppando in Francia e in Germania le prime conoscenze scientificamente rilevanti sul mondo dei sogni.
Gli artisti, a detta anche degli scienziati, rivestivano un ruolo di precorritori in materia, ma Klinger, che prestava molta attenzione alla propria sfera onirica, è molto probabile che abbia ricavato spunti per le proprie strategie figurative e definizioni simboliche (il guanto come feticcio sessuale, il suo moltiplicarsi, ingrandirsi e deformarsi, la presenza ossessiva dell’acqua, il mare e l’ostrica come simboli e attributi della femminilità mentre i cavalli e il mostro che vola della maschilità, il desiderio-ripulsa, l’annidarsi dell’orrido nel meraviglioso ed i connotati sado-masochistici di tutta la storia) dalle ricerche sui sogni operate dai contemporanei studiosi pre-freudiani come Albert Sterner (Das Leben des Traumes, Berlino 1861), Alfred Maury(Le sommeil et les rêves, Parigi 1878), Hervey de Saint Denis (Les rêves et les moyens de les diriger, Parigi 1867) e Friedrich Theodor Vischer (Der Traum, 1875), che offriva tra l’altro un’analisi penetrante del processo attraverso il quale il sognatore si abbandona alle proprie immagini rispecchiandovisi, con spunti poi sviluppabili e applicabili anche alle teorie estetiche.
In Klinger l’aspetto più intrigante è il suo non venire mai meno ad un disegno analitico e veritiero che rende particolarmente ambiguo l’irrompere dell’immaginario e dell’irreale nella vita quotidiana e concreta, aspetto che verrà molto ammirato a posteriori da De Chirico e dai surrealisti, in particolare Max Ernst che nei suoi collages ricreava quelle associazioni bizzarre e stranianti delle quali Klinger di Un guanto rappresentava un insuperabile esempio.

Un altro artista che rivela consonanze con l’aspetto notturno e onirico di Klinger è l’austriaco Rudolf Jettmar, pittore e incisore dalle notevoli qualità e originale protagonista del Simbolismo austriaco. L’artista si concentra sulla figura umana nuda, sul paesaggio e sulla mitologia, anteponendo alle sintesi lineari dello stile secessionista e klimtiano una robusta plasticità di gusto neo-michelagiolesco e manierista, che in parte potrebbe ricordare il nostro Adolfo De Carolis.
Allievo di William Unger, vinse il premio Roma che gli permise di soggiornare a lungo nella capitale. Tra le sue incisioni più note ricordiamo Die Sirenen (Le sirene, 1896), Orpheus (Orfeo, 1899), Nacht und Träume (Notte e sogni, 1904), Schlaflose Nacht (Notte insonne, 1905), il dittico di grandi dimensioni dedicato a Prometeo e la serie di otto tavole per il Kain di Byron (1919-1920). L’incisore belga, ma inglese d’adozione, Frank Brangwyn notò le sue opere grafiche trovando consonanza con i chiaroscuri drammatici delle proprie acqueforti di gusto piranesiano e lo presentò alla esposizione della Secessione Viennese del 1901.
Anche per Richard Müller fu fondamentale l’incontro con l’opera grafica di Klinger. La sua prima formazione fu all’insegna di un naturalismo analitico e descrittivo, quasi da anatomista, che restò basilare per i successivi sviluppi della propria arte. La sfera immaginativa di Müller, che talvolta sconfina nell’incubo e nel delirio, ha comunque sempre un saldo aggancio con la realtà, esibita con una particolare crudezza espressiva. Rilevante fu il suo studio e la citazione dei maestri del passato, da Dürer a Holbein, da Caravaggio a Artemisia Gentileschi.
L’incontro a Francoforte con Hans Thoma lo fece orientare sempre più verso una linea espressiva legata al modello di von Stuck e di Böcklin come del resto già era annunciato dalla sua prima opera grafica Eva e Adamo (1897).
Il tema dell’animale, caro fin dagli anni della giovinezza quando si recava per studio nel giardino zoologico di Dresda, rimane presenza dominante e ossessiva, caricandosi di valenze simboliche e psicologiche. Opere klingeriane come le incisioni Secondo intermezzo dai Salvataggi di vittime ovidiane (1879) , Orso ed elfo dagli Intermezzi (1881) e il dipinto Die Gesandtschaft (Il messaggio, 1882) dovettero offrirgli più di uno spunto, al pari delle acqueforti zoologico-allegoriche di Ernst Moritz Geyger di cui ricordiamo le satiriche Darwinistische Disputation (Disputazione darwinistica, 1892) dove un gruppo di scimmie osservano con sospetto e apprensione un cucciolo d’uomo appena nato oppure il marabù coronato d’aureola con le zampe posate sul libro della sapienza (Die Weisheit, 1890).

Le fantasie ricorrenti di Richard Müller che vedono come protagonisti donne e bestie (marabù, scimmie, formichieri, armadilli) sono giochi amorosi che velano di ironia un sottofondo di tragica incompatibilità. Tra le sue più note creazioni grafiche si annoverano la raffinatissima Rivalen (Rivali, 1912) nella quale una seducente donnina nuda in mezze calze nere è adagiata sui becchi di due volatili che si fronteggiano, Auf Ffreiersfüssen (Corteggiamento, 1914) con un marabù, considerato da tutti uccello brutto e immondo, che si inchina come un uomo impacciato in frac di fronte ad una vanitosa e avvenente fanciulla dopo aver deposto a terra guanti e cilindro, oppure In hellster Begeisterung (Col più grande entusiasmo, 1915) dove, memore dei primati umanizzati di Gabriel von Max, è ritratta una scimmietta sguaiata che si gratta le terga di fronte ad un gesso d’accademia tratto dall’Afrodite Cnidia.
Dal 1900 insegnante all’Accademia di Dresda, ostile agli sviluppi dell’Avanguardia, in particolare dell’Espressionismo, al punto di apostrofare con arrogante volgarità i propri allievi dicendo loro che disegnavano dopo essersi intinti le dita nel posteriore, Richard Müller ebbe comunque un ruolo importante nella formazione di artisti importanti come George Grosz e fu in certo qual modo uno dei padri della Neue Sachlichkeit (Nuova Oggettività)
Paul Herrmann è un altro artista degno di interesse, oggi quasi del tutto dimenticato anche a causa del suo successivo coinvolgimento col nazismo, quando la sua produzione tarda lo rese uno degli artisti più amati del Terzo Reich. Dalla nativa Monaco viaggiò nel resto della Germania e in America. Si stabilì poi a Parigi dove, su suggerimento di Arsène Alexandre, cambiò il proprio nome con lo pseudonimo di Henri Héran, anche per non essere confuso con un altro artista, Hermann Paul, già famoso illustratore e caricaturista. In Francia la sua arte assunse toni morbidi e delicati per inserirsi nel milieu simbolista di fine secolo. Di lui si ricordano una sensuale litografia a colori raffigurante Salomè danzante, una cromolitografia per “L’Estampe Moderne” (Fleur de Mai) ed una tavola raffigurante una sirena pubblicata nella rivista berlinese “Pan” nella quale unisce con maestria xilografia e litografia a colori.
Trasferitosi a Berlino continuò ad incidere in particolare ad ago freddo e a mezzatinta coltivando una produzione eclettica che abbraccia il ritratto (uno raffigura Stefan George), la veduta scenografica ed il tema simbolico. Una sua mezzatinta raffigurante Adamo ed Eva è riprodotta nel fondamentale Die moderne Graphik da Hans Wolfgang Singer (Lipsia 1914), curatore anche del catalogo ragionato dell’artista, Das graphische Werk der Maler-Radierers Paul Herrmann-Henri Héran, pubblicato nel 1914 dalla casa editrice Oskar Rauthe. Una cartella intitolata Phantasien contiene fogli maestosi come Traum, Zeit e Zwischen Zeit und Ewigkeit (Sogno, Tempo, Tra Tempo ed Eternità). Sua è anche un’ammaliante incisione a mezzatinta, Der Sturz des Ikarus, in cui il giovane alato sorregge insolitamente la testa di Medusa. Nel ciclo di sei incisioni dedicato a Salomè, edito nel 1922, emerge il suo dominio del mezzo tecnico, nella ricerca di toni delicati e avvolgenti e al contempo graffi e solcature di effetto drammatico espressivo, in bilico tra decadenza e avanguardia.
Il destino di Herrmann lo accomuna all’austriaco Ivo Saliger, altra personalità artistica controversa le cui opere divennero negli anni Trenta modelli perfettamente corrispondenti alle ideologie estetiche del nazionalsocialismo e vennero spesso esibite alle mostre del Reich.
Saliger aveva studiato a Vienna sotto Rudolf Jettmar, Ludwig Michalek e Ferdinand Schmutzer. Nel 1920 fu nominato egli stesso professore nel decennio a venire sviluppò maggiormente la tendenza al Déco. La sua incisione più famosa è Der Arzt, ossia il medico che tenta invano di strappare la ragazza alla morte, un’immagine che riguardava personalmente l’artista stesso che aveva perso la giovane sorella morta di leucemia nell’aprile 1920. Due mesi dopo il traumatico evento l’incisione era finita.
Non deve sorprendere nel composito cast di artisti della Mitteleuropa che la mostra odierna propone, la presenza dell’italiano di origini torinesi Guido Balsamo Stella. Infatti le opere qui esposte, prevalentemente ex libris per committenti tedeschi, si collocano nel periodo in cui l’artista viveva a Monaco di Baviera dove aveva studiato prima sotto la guida di Albert Welti e poi di Hugo von Habermann, distaccandosi per quasi un quindicennio dall’Italia e dal suo clima artistico per avvicinarsi a quello delle Secessioni le cui relative mostre lo videro tra i partecipanti. Lì riscosse il plauso di Richard Braungart che nel giugno del 1914 gli dedicò un articolo in “Dekorative Kunst”, di Fritz von Ostini e di Walter von zur Westen in occasione della mostra internazionale al Glasspalast. Gli ex libris di Balsamo Stella si distinguono per eleganza, humour e fantasia.
Spesso il motivo simbolico è arricchito da un remarque, contrappunto libero e scherzoso alla serietà dell’immagine principale, delineata secondo più canonici stilemi secessionisti al servigio dell’allegoria e del simbolismo.
Emanuele Bardazzi
Nota bibliografica:
Questo testo è comparso precedentemente in Incubi nordici e miti mediterranei. Max Klinger e l’incisione simbolista mitteleuropea, a cura di E. Bardazzi, G. Ballerini, M. D. Spadolini, catalogo della mostra, Sesto Fiorentino, Firenze 2014 e precedentemente in forma più ridotta come prefazione a Sogni e Visioni. Grafica europea tra Simbolismo e Secessione, a cura di F. Parisi, catalogo della mostra, Galleria Simone Aleandri, Roma 2009.
Per una prima ricognizione degli incisori di area geografica mitteleuropea e di influenza klingeriana che hanno soggiornato in Italia si veda Il sogno mediterraneo. Artisti tedeschi in Italia tra ‘800 e ‘900,a cura di E. Bardazzi e D. Cingottini, catalogo della mostra, Salone di Villa Romana, Firenze 1997. Una similare compagine è stata proposta anche in An Arnold Böcklin, a cura di E. Bardazzi, catalogo della mostra, Saletta Gonnelli, Firenze 2001 e in Der Akt im modernen Exlibris, a cura di E. Bardazzi, catalogo della mostra, Saletta Gonnelli, Firenze 2005. Una precedente raccolta di grafica tedesca tra ‘800 e ‘900 è nel pionieristico Grafica tedesca tra cultura e potere, a cura di P. Watts, catalogo della mostra, Galleria d’Arte Moderna Milano, Milano, 1984. Per una più ampia visione del Simbolismo e del mito dell’Arcadia nell’arte tedesca si rimanda al volume Kingdom of the soul. Symbolist Art in Germany 1870-1920 (ed. inglese), a cura di I. Ehrhardt e S. Reynolds, edito in occasione della mostra Frankfurt-Birmingham-Stockholm, 2000, London 2000. Di notevole interesse sono anche Der Kampf der Geschlechter. Der Neue Mythos in der Kunst 1850-1930, a cura di B. Eschenburg, catalogo della mostra, München, Lenbachhaus, 1995, Köln 1995 e il recente Schönheit und Geheimnis. Der deutsche Symbolismus. Die andere Moderne, a cura di J. Hülsewig-Johnen e H. Mund, catalogo della mostra, Bielefeld Kunsthalle, Bielefeld 2013. Il più esaustivo lavoro specifico realizzato in Germania su Max Klinger ed i suoi seguaci è invece il volume Eine Liebe. Max Klinger und die Folgen, a cura di R. Hüttel e P. Roetting, catalogo della mostra, Leipzig, Museum der bildenden Künste – Hamburg, Hamburger Kunsthalle, 2007-2008, Bielefeld 2007.
2 Comments
Giovanni Battista Vargiu
20 Maggio 2020 at 17:38Non ho mai letto della grafica simbolista mitteleuropea nè articoli così profondi come quelli che il BLOGGonnelli mi ha consentito di fare inaspettatamente oggi, non immaginando che un’arte considerata ai più minore come la grafica potesse aprire a panorami inesplorati e attrattivi come quelli esposti in questo Giornale Di Bordo.
ปั้มไลค์
27 Maggio 2020 at 16:33Like!! I blog frequently and I really thank you for your content. The article has truly peaked my interest.